Località: via Bruno Buozzi, Roma
Autore: Luigi Moretti
Cronologia: 1947-1950
Itinerario: Costruire case, fare città
Uso: residenza privata
Sul lato nord di viale Bruno Buozzi si trova una delle opere romane più famose di Luigi Moretti: la palazzina detta “Casa del Girasole”, realizzata dall’architetto nel triennio compreso tra il 1947 e il 1950. L’edificio deve il suo nome al trattamento dei prospetti laterali, che si sfogliano in piani paralleli per tendere verso la luce proveniente da sud, proprio come farebbe un girasole. Con la stessa finalità, per rendere il più possibile luminosi gli spazi interni, il corpo principale è spaccato in due attraverso una profonda fenditura che consente alla luce di penetrare abbondante sui pianerottoli di distribuzione. Anche la facciata è separata dal volume retrostante grazie a un sottile taglio verticale. Tale espediente, di matrice neoplastica, permette ancora una volta di lasciar passare la luce proprio nel punto in cui il volume dovrebbe, al contrario, girare ad angolo e presentare maggior chiusura.
La palazzina, dal disegno raffinato, può essere considerata uno degli esempi più maturi della ricerca architettonica di Luigi Moretti. Essa presenta una pianta simmetrica al livello del piano tipo (che si ripete tre volte), ma asimmetrica agli altri livelli: ciò determina un’immagine complessiva che produce l’effetto di una simmetria solo apparente, in quanto al corpo centrale simmetrico fanno riscontro, in alzato, le asimmetrie del corpo basamentale e del coronamento.
I prospetti laterali, caratterizzati ciascuno da tre superfici piegate corrispondenti alle camere da letto, catturano la migliore esposizione possibile. I rivestimenti delle facciate sono in piccole tessere di mosaico bianco a pasta di vetro, mentre sul retro, verso via Tigri, le superfici sono solo intonacate.
L’atrio di ingresso occupa il vuoto compreso tra i due blocchi dell’edificio. Una scala si protende al suo interno e collega il piano urbano con la quota del piano ammezzato. Da lì parte una seconda scala a doppia rampa che corre libera nello spazio della chiostrina, sorretta da un unico pilastro in cemento armato che la intercetta all’incrocio tra il pianerottolo e le rampe. Notevole è l’uso dei materiali, con raffinati contrasti tra superfici lucide e opache, contrappuntate dal colore verde dei mosaici.
La profonda fenditura che scava il volume per quasi la metà della sua profondità è coperta in sommità da una voltina con telaio di alluminio. Gli alloggi sono due per piano, eccetto al piano attico dove Moretti disegna un unico alloggio, destinato al committente dell’opera.
Il basamento è interamente rivestito in travertino. Esso presenta un trattamento molto singolare, che in alcuni punti rimanda a forme non architettoniche quali rocce appena sbozzate o concrezioni calcaree.
Sui fianchi il basamento è rivestito in travertino appena sbozzato. Nell’imbotte di una delle finestre è inoltre incastonato un pezzo scultoreo, un polpaccio umano, che introduce in questa architettura il dato della profondità temporale, come se questa palazzina fosse in realtà un’opera antica, che presenta in facciata i reperti delle sue vite passate.