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Cimitero Militare germanico

Luogo: Firenzuola, Passo della Futa (FI)
Autore: Dieter Oesterlen
Cronologia: 1962 | 1965
Itinerario: Spazio sacro e memoria
Uso: luogo per il culto

Con l’accordo di Bonn, firmato nel 1955 e ratificato nel 1957, per la prima volta si sancisce la possibilità di costruire «cimiteri o sacrari» dedicati ai caduti tedeschi in Italia. Così a partire dalla fine degli anni 50 si terminano e si inaugurano una serie di sacrari e cimiteri lungo tutto il territorio italiano. Il sacrario presso il Passo Pordoi, l’ampliamento del cimitero militare di Bressanone-Varna, Merano, Pomezia (1960), Cassino (1965), Motta Sant’Anastasia, nei pressi di Catania (1965), Costermano sul Garda (1967) e infine il cimitero del Passo della Futa (1969) che ad oggi è il più ampio cimitero militare tedesco in terra italiana con le sue 30.653 salme, nel cuore della Linea Gotica sull’Appennino situato nel punto più alto del passo omonimo, a 952 metri sul livello del mare.

Dieter Oesterlen riceve l’incarico nella primavera del 1959 e lo realizza tra il 1961 e il 1964 nelle sue parti fondamentali, fin da subito decide di non stravolgere quel luogo con un intervento troppo invasivo, rispettandone la natura e la sacralità derivante dal fatto di essere stato teatro di un’aspra battaglia. Grazie alla collaborazione con il paesaggista berlinese Walter Rossow, che avrà un ruolo fondamentale nella concezione e nella realizzazione del cimitero, riuscirà proprio nel suo intento, cioè quello di rispettare il luogo in cui si trova e di non realizzare un monumento celebrativo della guerra.

Il progetto è composto da pochi elementi che si adattano alla conformazione del terreno in cui si inseriscono. Elemento fondamentale del progetto è la spirale che partendo dall’esterno si chiude verso il centro. Questa forma geometrica primordiale si manifesta attraverso un unico muro continuo di sostegno che dall’ingresso, seguendo le quote altimetriche, sale poco a poco fino a raggiunge la sommità della collina.

Questo muro definisce, all’ingresso dell’area, un piccolo patio raccolto da cui, attraverso uno stretto passaggio obbliga i visitatori a soffermarsi davanti ad una lapide commemorativa. Attraverso questo stretto passaggio si accede al cimitero vero e proprio.

La parete continua a monte del percorso, rivestita con blocchi di arenaria grigio-verde appena sbozzati che danno l’impressione di un muro ciclopico avente la funzione di sostenere la collina, lungo il suo percorso definisce così una serie di terrazze sovrapposte. Essa accompagna i visitatori lungo tutto il percorso che conduce al sacrario consentendo vista la sua altezza di poter continuare ad ammirare il paesaggio circostante e di osservare le lapidi posate a terra in campi regolari, prive di qualsiasi elemento verticale.

Le cinque terrazze formate dal grande muro a spirale accolgono le lapidi dei caduti. Esse sono tutte di uguali dimensioni (140 x 70 cm) e su ciascuna sono incisi i nomi di due soldati, il loro grado, la data di nascita e di morte. Sono disposte in campi rettangolari ortogonali al terreno e orientate verso valle.

Nella parte più alta della spirale, in prossimità dell’ultima terrazza il muro di sostegno diventa un muro indipendente che continua a crescere dapprima gradualmente, per poi diventare uno sperone di muro alto circa sedici metri, un elemento di richiamo che si slancia verso l’alto.

Questo elemento è dominante nel progetto nella sua verticalità e rappresenta il punto di arrivo del percorso. La sua forma scultorea accompagna tutto il percorso  e pur essendo molto massiccio anche per il suo rivestimento in pietra con decorazioni in mosaico, rimane un elemento in qualche modo non così pesante anche grazie al fatto che la sua forma cambi a seconda del variare del punto vista con cui lo si osserva.

Sul muro, a distanza irregolare, sono posizionate singole croci modellate nella stessa pietra.

La quinta ed ultima terrazza è l’unica ad essere pavimentata, qui la vela muraria si chiude su se stessa definendo uno spazio in cui è stata collocata la cripta.

Foto di Simone Mizzotti
Testo di Alessandra Giancarlo