Giardino segreto I-II

Luogo: Gibellina (TP)

AutoreFrancesco Venezia; Mimmo Rotella, Daniel Spoerri (artisti)

Cronologia: 1972 | 1985 ; 1986 | 1991

Uso: padiglione

Il Giardino Segreto 2 si colloca alla fine di un isolato e affaccia su viale dell’indipendenza siciliana. Ci troviamo di fornte quattro pareti in cemento, suddivise da strette fenditure, che attraggono lo sguardo e spingono ad entrare, spinti dalla curiosità di scoprire cosa sia celato all’interno.

All’interno, in posizione centrale, la mano che tiene un mezzo busto di donna e si protende verso l’alto è opera di Daniel Spoerri.

Nella parete di fronte, al vertice del triangolo, Città del Sole 1, opera di Mimmo Rotella

Il Giardino Segreto 1 si colloca alla fine di un isolato tra viale Vitaliano Brancati e viale G. Tomasi di Lampedusa.

All’interno del nuovo tessuto urbano, il Giardino Segreto 1 si raccorda con forme preesistenti. Racchiude al suo interno alcuni frammenti e ruderi provenienti dalla città originaria: il frammento costituisce una memoria lontana e attraverso la sua integrazione nel nuovo attraversa anch’esso il tempo. Francesco Venezia riduce al minimo gli elementi architettonici, i muri perimetrali esterni sono realizzati in materiali dissimili per natura ed effetto: cemento armato a vista con bloccaggio di inerti diversi per pezzatura e tonalità secondo fasce sovrapposte.

All’interno dei muri sono rimontati cinque archi che non hanno nessuna funzione strutturale, come le colonne e un sedile, finalizzati al ricordo della memoria. Il piccolo edificio è una casa senza il tetto, a cielo aperto, che definisce la strada di un isolato di Gibellina Nuova come sottolinea, il progettista, va a testimoniare l’avvento della tragedia: «un edificio incompiuto o parzialmente rovinato si trasforma in giardino, per gioco diverso della luce e delle ombre determinato dall’assenza del tetto » Francesco Venezia.

All’interno i muri sono realizzati con una muratura di blocchi di arenaria gialla di Caltanissetta, la stessa pietra degli archi di spoglio e l’utilizzo di tufo d’Alcamo. Il tufo, era un materiale rintracciabile in loco, della quale si servì la vecchia Gibellina, la scelta di questo materiale infatti, non è per nulla casuale, ma finalizzata al recupero della memoria della vecchia cittadella.

Le pavimentazioni sono in lastroni di pietra lavica dell’Etna e, nella parte terminale depressa, in acciottolato.

Entrambi i giardini vanno a conservare la memoria e il sentimento dei giardini arabi, normanni e siciliani sottolineando il loro distacco dal contesto nella quale vengono inseriti. Dichiarazione del nuovo che conserva la memoria di ciò che è stato con l’inserimento di elementi della vecchia Gibellina.

Foto di Roberto Boccaccino
Testo di Alessandra Giancarlo