Luogo: Venezia, Campo Santa Maria Formosa, 5252
Autore: Carlo Scarpa; Carlo Maschietto (I intervento). Valeriano Pastor (II intervento). Mario Botta (III intervento) ; Mario Gemin (collaboratore); Walter Gobbetto, Celio Fullin, Franco Geron (strutture).
Cronologia: 1961 | 1963; 1982 | 1997; 1993 | 2013
Itinerario: Costruire sul costruito
Uso: Luogo della cultura
La Fondazione Querini Stampalia nasce nel 1869 per volere di Giovanni Querini Stampalia, ultimo discendente di una nobile casata veneziana.
Si tratta di un esempio di conservazione, in un unico luogo, di tutti i beni di una famiglia patrizia che annovera tra i suoi possedimenti un ampio patrimonio immobiliare, artistico, documentario e bibliografico che la Fondazione conserva e rende accessibile promuovendo secondo la volontà del fondatore “il culto dei buoni studi e delle utili discipline”.
La struttura stessa del palazzo è come un manifesto di ciò che la Fondazione vuole trasmettere ossia un luogo vivo dove la storia è riletta alla luce della contemporaneità.
In questo senso allora è possibile leggere gli interventi che nel tempo hanno interessato la dimora storica cinquecentesca, a partire dagli ambienti ridisegnati agli inizi degli anni Sessanta da Carlo Scarpa, poi da Valeriano Pastor tra gli anni Ottanta e Novanta e da Mario Botta, a partire dal 1994.Nel 1961 il direttore della Fondazione incarica l’architetto Carlo Scarpa di rendere abitabile il piano terreno del Palazzo cinquecentesco e l’adiacente cortile, inutilizzabili a causa del periodico fenomeno dell’acqua alta. Scarpa realizza quindi il nuovo ponte di accesso dal campiello Querini; l’atrio di ingresso; il passaggio sopraelevato che permette di accedere ad un locale destinato a soggiorno per gli studiosi che frequentano la biblioteca, il cosidetto portego, una grande sala da destinare ad esposizioni; il giardino dove il tema dell’acqua è declinato da una fontana e da una linea d’acqua.
Il giardino è chiuso da un lato da un muro in cemento attraversato da una linea orizzontale in mosaico. Una vaschetta in marmo delle Alpi Apuane raccoglie l’acqua che gocciola da un tubicino e che attraverso un percorso di piccole conche arriva ad un rivolo profondo.
Per evitare il fenomeno dell’allagamento decide di elevare le pavimentazioni di tutta la zona prospiciente il canale e riveste le pareti con pannelli di muratura leggera intonacati, sostenendoli con staffe per consentire una sufficiente areazione di tutte le pareti ed evitare gli effetti di infiltrazioni dovute all’umidità.
Interessante osservare l’atrio di accesso dal rio Santa Maria Formosa, le due grandi arcate chiuse da cancelli metallici chiudono l’accesso ma non impediscono l’entrata dell’acqua. Qui si realizza una graduale compenetrazione tra esterno ed interno, tra acqua del canale e camminamento interno, declinata attraverso uno sfalsamento dei piani di camminamento. Il corridoio longitudinale e parallelo al rio collega i diversi ambiti del palazzo.
Dall’atrio si arriva al portego rialzato destinato a conferenze ed esposizioni separato dal camminamento da una parete vetrata in cui è inserito un elemento scultoreo. Questo elemento è realizzato in pietra d’Istria decorata da bande in oro zecchino. La sua funzione non è unicamente decorativa ma di contenitore per gli elementi radianti di riscaldamento gli ambienti.
L’intervento eseguito dall’architetto Mario Botta diventa l’occasione di un rinnovamento profondo della sede della Fondazione prendendo il via dall’acquisizione, alla fine degli anni ’80, di alcuni immobili limitrofi allo storico palazzo, tra cui il ponte secentesco su campo Santa Maria Formosa, che costituisce una novità strategica per l’accesso al complesso. Tale ampliamento ha comportato la riorganizzazione dell’intero complesso.
L’architetto ticinese interviene ricomponendo frammenti tra loro disomogenei in modo da conseguire una continuità spaziale e un’organizzazione delle diverse funzioni chiara e contraddistinta da un’immediata riconoscibilità. Si può notare l’essenzialità delle linee utilizzata nella realizzazione di una scala di collegamento in pietra rossa di Verona bocciardata e levigata; che sembra staccarsi dalle pareti ed essere sorretta da un elemento portante metallico su cui appoggiano i vari gradini. Il leggero corrimano in metallo nero e legno è arricchito da una maglia in acciaio inox a lamelle tesa da profili metallici, che riflettono la luce proveniente dall’alto e filtrano l’immagine delle persone che vi transitano.
La corte interna, il luogo su cui affacciano i vari ambienti, è coperta da un lucernario vetrato celato da un velario che contribuisce a diffondere la luminosità all’interno dell’ambiente; a terra il pavimento è realizzato in marmi policromi.