Luogo: Livorno, Piazza Bonamozegh
Autore: Angelo Di Castro; Gino Marotta (sculture)
Cronologia: 1955 | 1962
Itinerario: Spazio sacro e memoria
Uso: Sinagoga
Il Tempio ebraico di Livorno sorge nel luogo, dove trovava posto l’antica Sinagoga, distrutta nel corso dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto si aprì un vivace dibattito in merito alle possibilità di ricostruire il tempio con forme uguali alle precedenti o totalmente differenti. A risolvere la questione giunse l’indicazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che impose la realizzazione di un nuovo edificio, la cui costruzione prende avvio per impulso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il progetto è affidato all’architetto romano Angelo Di Castro, il quale si occupa oltre che del tempio, del piccolo edificio polifunzionale posto in prossimità e a questo collegato da un passaggio sotterraneo. Per la progettazione dell’edificio, Di Castro attinge a degli archetipi tratti dalla cultura ebraica, come la Grande Tenda destinata a custodire l’Arca dell’Alleanza. L’esito è una struttura nervata in calcestruzzo armato, caratterizzata da interessanti soluzioni strutturali e compositive. Grande importanza è attribuita all’apparato decorativo, in parte curato dallo stesso architetto, come le cancellate e le vetrate, in parte affidato all’artista molisano Gino Marotta, il quale realizza le sculture delle cappe esterne, sovrastanti i portali.
L’edificio è costruito in calcestruzzo armato, la struttura è costituita da ventiquattro nervature che percorrono da terra a cielo tutta l’altezza, congiungendosi in corrispondenza del colmo della copertura. La parte terminale absidata è compresa in cinque settori definiti da sei nervature. Questi ultimi, a differenza di tutti gli altri, si distaccano dalla sagoma delle nervature di sostegno sia in corrispondenza dell’attacco a terra che in copertura. La sagoma ribassata in corrispondenza della copertura lascia spazio a una vetrata di colore rosso, che caratterizza cromaticamente l’interno; collaborano all’effetto cromatico anche le piccole bucature di forma triangolare che costellano parte dei pannelli verticali.
Esternamente il volume è caratterizzato da due ordini di finestre esagonali: l’ordine superiore posto in corrispondenza del punto di contatto con la copertura e l’ordine inferiore all’altezza del piano orizzontale della parte absidata. Tale collocazione delle aperture concorre alla definizione dello spazio interno, enfatizzando gli assi visivi principali.
Internamente l’edificio si sviluppa sulla direzione longitudinale, le sedute sono disposte su cinque ordini di gradinate e in posizione centrale trova posto la Tevà, realizzata con i marmi della Sinagoga distrutta recuperati dalle macerie, e l’Ekhal ligneo, di fattura settecentesca, proveniente da Pesaro.
Di fondamentale importanza per la definizione dello spazio interno sono le sorgenti di luce naturale: i due ordini di finestre esagonali costituiscono la sorgente primaria e distinguono i due assi principali che conducono visivamente al cambiamento di geometria dell’area absidale. Proprio in quest’area sono poste le due sorgenti di luce naturale che concorrono alla definizione emozionale dello spazio: la grande vetrata rossa in corrispondenza del cambio di piano della copertura e le piccole finestrelle triangolari intagliate nei pannelli dell’abside.
In corrispondenza dell’ingresso, a un livello rialzato, trova posto il matroneo, caratterizzato da una balaustra traforata con motivi esagonali che riprendono il trattamento delle bucature.
I tre portali d’ingresso sono sormontati da cappe decorate, al culmine delle quali si trovano tre finestre di sagoma ottagonale anziché esagonale.
Il ricercato effetto delle proiezioni rosse emesse dalla vetrata in copertura, che al variare della posizione dei raggi solari colpisce punti differenti dell’interno, conferisce un significato simbolico agli effetti illuminanti, rievocando la memoria delle vittime e delle persecuzioni perpetrate nel corso del secondo conflitto mondiale.