Luogo: Roma, Appio Claudio, Piazza Arunelo Celio Sabino, 50
Autore: Giuseppe Nicolosi
Cronologia: 1964 | 1967
Itinerario: Spazio sacro e memoria
Uso: edificio per il culto
Costruita tra il 1964 e il 1967 su progetto di Giuseppe Nicolosi, si colloca nel quartiere Appio Claudio a forte sviluppo abitativo. Urbanisticamente è inserita ai limiti del parco degli Acquedotti area in cui si legge chiaramente la testimonianza romana per la presenza dei resti dell’acquedotto Felice e disposta di fronte ad un ampio viale che la collega con la grande arteria della via Tuscolana.
Le prime ipotesi di studio sulla forma della chiesa sono variazioni sul pentagono e sull’esagono, accostamenti di impianti geometrici differenti che si ispirano a una tradizione che fonda le proprie radici nel periodo rinascimentale e barocco. L’idea della pianta centrale nasce da esigenze economiche ma anche urbanistiche, sorgendo sull’asse di un grande viale l’edificio doveva essere visibile da molto lontano, a parità di cubatura quindi Nicolosi decise di optare per una pianta centrale piuttosto che longitudinale.
Articolata attorno alla figura geometrica dell’esagono e dei triangoli equilateri che lo compongono, la chiesa è articolata in due diverse strutture: una interna in cemento armato che sostiene la copertura, l’altra di chiusura perimetrale, in muratura autoportante rivestita all’esterno con blocchi squadrati di peperino alternati a ricorsi di mattoni, capaci di configurare la forma possente e solitaria, dell’edificio.
La pianta esagonale non è regolare ma fortemente allungata verso il parco degli Acquedotti con un sesto lato brevissimo, di soli 270 cm, sul quale all’interno è posizionato in basso il Tabernacolo a muro, al di sopra del quale è presente per tutta l’altezza e la larghezza una stretta e alta vetrata.
Tutti i prospetti sono segnati orizzontalmente da ricorsi di mattoni a una, due, tre file sovrapposte, che si alternano a lastre di peperino poste a file di tre, quattro, cinque ricorsi. Il risultato finale è una facies architettonica con alte pareti fortemente materiche caratterizzate dal gioco discreto di luci e ombre.
All’interno si trova un’imponente struttura in cemento armato apparentemente svincolata dalle murature perimetrali. Sei grandiosi pilastri in cemento armato a vista a pianta pentagonale allungata analoga, anche se ovviamente di dimensioni ridotte, a quella della chiesa, sorreggono nell’angolo alte travi a sostegno della volta che incrocia formando la figura di una stella a sei punte, considerata da alcuni studiosi di David. La forma della stella è infatti ottenuta dall’incrocio di due triangoli equilateri (aventi quindi tre angoli identici di 60 gradi ciascuno) e di eguali dimensioni.
Il tiburio è riconoscibile per l’utilizzo di mattoni pieni per le murature dei dodici lati. Alle intersezioni dei piani verticali si trovano due strette asole angolari vetrate poste tra slanciati e sottili pilastri. Una impercettibile finestra a nastro orizzontale corre continua tra la copertura e le pareti laterali, denunciando nuovamente l’autonomia delle due differenti strutture.
In ciascuno dei due lati contigui all’altare sono ricavate cinque strette finestre verticali, ritagliate inclinate rispetto alla parete.
Interessante osservare il trattamento del laterizio in muratura piena faccia a vista da terra fino all’altezza delle porte di ingresso, che prosegue poi fino alla finestra a nastro con una posa a 45 gradi. Questo disegno permetteva di risolvere problemi acustici della sala, generando un effetto fortemente materico di tessitura capace di creare molteplici piccole ombre.
La copertura è formata da sei falde a forma di losanga, segnate da altrettante nervature che piegano verso l’alto, creando una guglia il cui scopo è quello di sostenere l’esile croce posta sulla sua sommità.