Luogo: Levico Terme (TN), Viale Vittorio Emanuele, 10
Autore: Efrem Ferrari, Michelangelo Perghem Gelmi
Cronologia: 1954 | 1964
Itinerari: L’Italia va in vacanza
Uso: Centro termale
La Catena del Lagorai, in Trentino orientale, è ricca di sorgenti termali, originariamente utilizzate dai minatori per l’utilizzo del cosiddetto “vetriolo verde” e solo successivamente, dalla seconda metà del XIX secolo, sfruttate a scopo terapeutico. Tra i comuni che oggi ospitano stabilimenti termali, quello di Levico Terme, situato nella Valsugana, sfrutta la sorgente del Monte Fronte. Qui si trova lo stabilimento costruito a seguito di un concorso bandito dall’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione, in luogo del cosiddetto Stabilimento Vecchio, distrutto nel corso della Seconda guerra mondiale. Il progetto, redatto tra il 1954 e il 1956 da Efrem Ferrari, architetto locale formatosi a Venezia e noto in particolar modo per alcuni edifici di culto, rimase fermo per tre anni, fino all’intervento dell’ingegnere Michelangelo Perghem Gelmi. Questi fu incaricato dalla Regione di aggiornare l’impianto e la distribuzione interna del complesso, che fu finalmente inaugurato nel 1964.
Il complesso è situato all’interno del tessuto urbano, a poche centinaia di metri dal centro cittadino, e si articola in una serie di padiglioni per una dimensione complessiva di circa 7.000 metri quadri. Al suo interno ospita spazi dedicati alla fangobalneoterapia, all’idromassaggio, alle cure inalatorie e alle cure per le patologie osteoarticolari.
L’architettura del complesso si rifà alla tradizione modernista derivata dalle esperienze razionaliste francesi, richiamando in alcuni tratti la lezione lecorbuseriana appresa tra i banchi dello IUAV.
Una serie di blocchi edilizi rivestiti in pietra dalla colorazione variegata, solcati da grandi aperture e sormontati talvolta da cappelli di intonaco bianco, sono tra loro connessi da ampi spazi caratterizzati da soffitti a volte ribassate la cui geometria, come opere di Josep Lluís Sert, o nella Maison Jaoul di Le Corbusier, viene denunciata sul partito di facciata.
Uno di questi spazi voltati, che qui emergono sul fronte fino a costituire un alto portico, costituisce la lobby del complesso, la cui grande sala di aspetto è illuminata da ampie finestre aperte sul paesaggio.
L’impaginato dei blocchi principali risente probabilmente della lezione veneziana, mitigata dalla riscrittura di alcuni stilemi locali. Nel corpo materico delle pareti in pietra, caratterizzato da un disegno sempre variato per forma e colore dei blocchi di rivestimento, si aprono grandi solchi a tutta altezza che al loro interno ospitano le aperture delle finestre. Qui il fuori-scala geometrico è accentuato dall’uso del laterizio e del cemento a vista. Un forte cornicione in cemento tiene insieme la figura, restituendone l’elementare semplicità iniziale, altrimenti compromessa dalla geometria della facciata. Le coperture in zinco di colorazione scura accentuano il contrasto con la cromia degli elementi in alzato e si rifanno, aggiornandoli, ai tetti tradizionali della regione alpina.
Negli spazi interni si tende ad accentuare il contrasto tra la purezza geometrica delle volte, intonacate di bianco, e la prosaicità dei muri di sostegno, che mescolano riferimenti alla tradizionale lavorazione della pietra ad altri apparati tecnologici contemporanei, meno immuni alla prova del tempo. A terra, i pavimenti lucidati restituiscono, accentuandolo, questo contrasto.