Tre generazioni di maestri toscani, dal secondo dopoguerra ai primi anni Novanta, hanno affrontato la dimensione urbana attraverso architetture lette, per dirla con Savioli, come “frammenti di città”.
Dalla Cassa di Risparmio a Firenze in cui Michelucci proietta un inedito spazio interno verso l’esterno, al grattacielo a Livorno, riferimento visuale per l’area di periferia. In questi anni l’espansione urbana si confronta con modelli abitativi sperimentali, come il quartiere di Sorgane con gli edifici “La Nave” e INCIS di Ricci e Savioli.
La scala urbana è colta da quest’ultimo in opere d’interesse collettivo, come il ponte Giovanni da Verrazzano a Firenze, “strada estroversa proiettata sulla città”, o il cimitero di Montecatini, momento di meditazione corale, fino al nuovo Mercato dei Fiori a Pescia, allineato alle coeve ricerche da James Stirling a Renzo Piano.
Vero “tesoro nascosto” è lo Studio Savioli dove, come nel palazzo in via Piagentina, la prefabbricazione è impiegata per costruire uno spazio “intorno all’uomo”.
Nel Teatro della Compagnia Natalini concepisce la galleria come strada urbana: un interno con valenza d’esterno. A Novoli, infine, i sette edifici del Polo delle Scienze sociali dell’Università di Firenze recuperano l’immagine del palazzo di città.