Stabilimento Elmag

Luogo: Lissone (MB), viale Elvezia, 35

Autore: Angelo Mangiarotti

Cronologia: 1964 | 1964

Itinerario: Un paese industrioso

Uso: Stabilimento industriale e uffici

Modularità, leggerezza, assemblaggio degli elementi, sono le parole d’ordine che contraddistinguono nel tempo la ricerca architettonica di Angelo Mangiarotti. Esse costituiscono la cifra distintiva del suo lavoro, caratterizzando i suoi progetti per sintesi ed eleganza. Si tratta di una sperimentazione di matrice analitica, volta a scomporre l’edificio in parti, che l’architetto conduce inizialmente in una serie di progetti per l’industria, ma che in seguito estende anche a molte sue opere di carattere non industriale. Il padiglione realizzato nel 1964 per la Elmag a Lissone è un’opera esemplare per chiarire questo modo di procedere: qui l’architetto studia un principio costruttivo basato sulla prefabbricazione delle parti strutturali dell’edificio, tutte realizzate fuori opera in cemento armato precompresso.

Dal punto di vista tipologico lo stabilimento Elmag è un edificio polifunzionale, destinato a produzione, uffici ed esposizione dei prodotti della ditta Elmag. L’impianto, espandibile nel tempo, si compone di tre campate parallele messe in successione lungo l’asse longitudinale. Le prime tre campate sono svuotate e configurano in testata una specie di ampio pronao. La facciata principale, rivolta sul pronao, è interamente vetrata e corrisponde ai locali interni destinati a zona espositiva.

I tamponamenti dei fronti laterali sono realizzati in pannelli prefabbricati in acciaio con finitura grecata, con isolamento già compreso nell’anima del pannello; le parti vetrate corrispondono ai punti dove è necessario illuminare. La copertura piana, non praticabile, è interamente in tegoloni di cemento armato prefabbricati, fatta eccezione per 8 moduli costituiti da lucernai in fibropoliestere, posti nelle campate corrispondenti all’area delle lavorazioni.

La trave e il pilastro sono elementi disegnati tenendo in conto le dimensioni possibili per poterli movimentare, non potendo essi eccedere le lunghezze massime consentite dai mezzi di trasporto. La parte alta dei pilastri è conformata per alloggiare sia l’aggancio delle travi che l’aggancio dei carriponte. I pilastri di bordo, nell’ottica della riduzione del numero di elementi da produrre, sono uguali ai pilastri intermedi e conservano in testa la doppia sagomatura, anche se lì accolgono una sola trave. Lungi dal sembrare una semplificazione eccessiva, questo espediente razionalizza la costruzione ed esalta il disegno architettonico dell’attacco al cielo, con i pilastri che sporgono di circa 1 metro dal piano verticale e che ritmano i lunghi prospetti come una successione di moderni capitelli.

Testo di Manuela Raitano
Foto di Marco Introini