Luogo: Trento, via Gazzoletti, 2
Autore: Adalberto Libera, Sergio Musmeci
Cronologia: 1954 | 1965
Itinerari: Architetture per la collettività
Uso: palazzo pubblico
Il lotto dove sorge il complesso del Palazzo della Regione si trova in prossimità della stazione ferroviaria di Trento e comprende gli uffici della Giunta regionale, gli uffici degli Assessorati e la Sala Consiliare. Le diverse funzioni richieste dal programma vengono risolte da Adalberto Libera attraverso una composizione impostata sul rapporto istituito da tre volumi autonomi, due di forma rettangolare e uno di forma trapezoidale, tra loro collegati in un impianto planimetrico a “L”.
Il palazzo della Regione di Trento è un progetto del periodo posteriore alla seconda guerra mondiale, quando il linguaggio architettonico di Libera sembra completamente diverso da quello puro e razionalista che aveva caratterizzato il suo ciclo prebellico. Durante la guerra l’architetto aveva trascorso un periodo di confino volontario nel luogo dove era nato, Villa Lagarina, in Trentino; tornato a Roma, aveva scelto di ricominciare da capo, sulla base di alcune profonde riflessioni teoriche elaborate nel periodo trentino. Conclusa la fase dell’entusiasmo per l’idealismo di stampo tedesco, nel dopoguerra Libera pratica un’architettura che ai grandi ideali razionalisti preferisce la “correttezza” costruttiva, nella quale l’influenza dell’esperienza nella stagione dell’INA Casa emerge anche nelle occasioni che consentirebbero degli slanci di puro lirismo.
L’edificio che affaccia su Piazza Dante ospita la Giunta, gli uffici di presidenza e gli uffici dei consiglieri regionali: un volume regolare, a pianta rettangolare, è sospeso su due piloni di calcestruzzo armato, ciascuno affiancato da una coppia di puntoni cilindrici inclinati. L’ingresso, che si trova sotto il portico, avviene attraverso una parete vetrata, mentre le facciate del volume superiore sono in calcestruzzo a vista con rivestimenti lapidei. Si tratta di un edificio particolarmente interessante poiché è sorretto da un’enorme trave in calcestruzzo sagomato, con doppio sbalzo, sostenuta da due soli pilastri a sezione ellittica accoppiati a due stabilizzatori laterali. La pianta è rettangolare e misura 72×16 metri e la facciata, che sbalza di 16 metri sulle testate, è una lunga trave parete di 72 metri di lunghezza, suddivisa in 9 campate di 8 metri ciascuna. Questa speciale tecnologia strutturale era stata studiata proprio in quegli anni dal giovane Musmeci e dallo stesso Libera, che aveva da poco pubblicato sulla copertina della rivista “Strutture”, da lui co-diretta insieme a Pier Luigi Nervi, la restituzione fotoelastica di una trave parete.
Nonostante questo edificio trentino appartenga alla seconda fase progettuale di Libera, è riconoscibile nella scrittura di facciata del volume della Giunta il classico linguaggio compositivo dell’architetto, che opera sul contrappunto tra l’asse centrale simmetrico e l’alleggerimento delle ali laterali o, viceversa, sul vuoto centrale bilanciato dal pieno delle estremità. Con un’ulteriore eccezione, in questo caso, poiché il vuoto centrale rappresentato dal balcone separa due parti piene, ma non perfettamente simmetriche.
Gli iperboloidi con i due puntoni laterali sono gli elementi di appoggio che, arditamente, sorreggono il grande corpo di fabbrica dello spazio di rappresentanza, lungo 72 metri. Il figlio di Adalberto, Alessandro, ingegnere ed architetto, ricorda che il padre lo coinvolse nel progetto e che gli fece realizzare il plastico di due “grandi mani” che da sole dovevano sorreggere il fabbricato al posto degli iperboloidi. Ma la difficoltà di passare dal modellino, quasi una scultura, alla struttura vera e propria, fece desistere Libera e Musmeci dal portare avanti questa soluzione: al posto dei plastici appoggi venne fuori la forma geometricamente perfetta degli iperboloidi, che però non avevano, per Libera, la stessa carica evocativa delle “mani”.
Il pilastro iperboloide è, per alcuni autori contemporanei, una sintesi perfetta tra ingegneria e design, ma soprattutto è il frutto dei calcoli raffinatissimi di Musmeci e del lavoro perfetto degli abili carpentieri che hanno realizzato la cassaforma, torcendo accuratamente i masselli a contatto con la superficie del calcestruzzo.
La particolarità della condizione statica e la sperimentalità costruttiva adottate da Libera e Musmeci nel “palazzo pubblico” possono essere certamente inserite nel filone di ricerca che vede coinvolti gli architetti e gli ingegneri italiani nel periodo tra il 1945 e il 1970 del Novecento: una fase in cui gli studi si concentrano sul rapporto tra struttura e organismo architettonico e sulle trasformazioni linguistiche dello scheletro portante, come appunto avviene nel Palazzo della Regione di Trento.
Il corpo Assessorati ha facciate continue in metallo e si poggia su pilastri ad albero che creano un portico su via Gazzoletti. La sperimentalità e la ricchezza del linguaggio architettonico adottati da Libera nel Palazzo della Regione sembrano, nel complesso, alludere al nuovo corso politico della Regione Trentino Alto Adige, alla sua pacificazione dopo il conflitto bellico e ad un nuovo progetto comune.