Luogo: Porcia (PN), via Pontebbana (tratto intitolato a Lino Zanussi)
Autore: Gino Valle
Cronologia: 1957 | 1961
Itinerario: Un paese industrioso
Uso: Uffici e direzionale
Apparentemente poco classificabile nel quadro delle ricerche italiane dell’immediato dopoguerra, Gino Valle inizia la sua formazione allo IUAV, approfondisce in seguito i suoi studi ad Harvard con Walter Gropius e stringe, appena laureato, una profonda e duratura amicizia con Joseph Rykwert, che pubblicherà molte delle sue opere in riviste straniere. Queste esperienze, lungi dal renderlo una figura freddamente cosmopolita, lo rendono piuttosto capace di declinare una via italiana al moderno di matrice anglosassone. Una via non priva, da un lato, di sensibili approcci al tema del rapporto con l’ambiente urbano e, dall’altro, di innovative soluzioni ai nuovi tipi architettonici legati al rapido sviluppo industriale del paese. A Porcia l’architetto è chiamato a confrontarsi con questo secondo tema quando, nel 1961, realizza un nuovo corpo per uffici per le industrie Zanussi.
L’edificio, in cemento a faccia vista, chiude il margine sud dello stabilimento e segue il corso della via Pontebbana, che collega Pordenone con Venezia. Si tratta di un’architettura rigorosa e dinamica al tempo stesso che Carlo Melograni ha scelto, come opera iconica del secondo Novecento italiano, per illustrare la copertina del suo libro Architetture nell’Italia della Ricostruzione. Modernità versus modernizzazione 1945-1960, pubblicato nel 2015.
La testata ovest del lungo corpo di fabbrica si dilata in un’ampia apertura, sormontata solo dalla prosecuzione dell’ultimo livello degli uffici. Sotto questo esteso passaggio transitava tutto il traffico diretto agli stabilimenti, dai dipendenti ai mezzi pesanti. Oggi questo ingresso è declassato, essendo dedicato ai soli dipendenti. La sezione dell’edificio è articolata, verso nord, in terrazze vetrate digradanti che lasciano cadere la luce dall’alto. In questo modo l’edificio, che si presenta come un margine netto al suo esterno, diventa un diaframma permeabile all’interno.
L’ultimo livello dell’edificio aggetta, proiettando la sua ombra sui piani sottostanti e provvedendo alla naturale schermatura della facciata sud. Le imponenti testate delle travi sono lasciate a vista per scandire il ritmo e la misura del fronte. L’impaginato, altrimenti secco e orizzontale, è reso più complesso grazie alla sporgenza in facciata dei corpi scala, che deformano la linea continua dell’attacco al cielo.
Anche l’attacco a terra dell’edificio è disegnato con attenzione, grazie alla presenza di un fossato che ne abbassa la quota di poco sotto il livello stradale; lì sono collocati i posti auto dei dipendenti, che in tal modo risultano a malapena visibili dall’esterno, non interferendo con la percezione dell’architettura retrostante. Il fossato ha anche il compito di staccare fisicamente il corpo di fabbrica dalla sede stradale.