Cimitero di San Cataldo

Luogo: Modena, via San Cataldo

Autore: Aldo Rossi, Gianni Braghieri

Cronologia: 1971 | 2011

Itinerari: Architetture per la collettività

Uso: cimitero

Il cimitero di San Cataldo è composto dal Cimitero Monumentale realizzato negli anni 1858-1876 dall’architetto Cesare Costa e dalla parte nuova, opera di Aldo Rossi con Gianni Braghieri. Rossi concepì il cimitero come una città dove, come egli stesso afferma, il rapporto privato con la morte torna ad essere rapporto civile con l’istituzione. A questa città surreale e dechirichiana, si accede da un portale tagliato come un varco nel muro di cinta.

L’edificio cimiteriale è un complesso di manufatti e include ampi spazi verdi. Rossi e Braghieri ne enfatizzano il carattere di edificio pubblico, adottando una grande chiarezza e razionalità dei percorsi distributivi. Il processo compositivo è analogo a quello dei cimiteri neoclassici, come quello adiacente realizzato da Cesare Costa tra il 1858 ed il 1876, ma qui il caratteristico recinto si spezza e si apre verso la campagna.

Il recinto progettato da Rossi e Braghieri è un muro continuo alto 13 metri e largo 5, costituito da edifici contenenti ciascuno due file di colombari, attraversati al centro da un percorso rettilineo di circa 4 metri di larghezza. Su tutti i prospetti si susseguono le finestre quadrate con cadenza regolare, mentre la copertura a falde deriva dalla scelta di ricreare un’immagine legata al contesto emiliano, al tempo stesso urbana e domestica.

Nel bando di concorso si chiedeva particolare attenzione ai contenuti teorico-filosofici del tema, al fine di realizzare un monumento nel quale la comunità potesse rispecchiarsi. Rossi focalizza la sua proposta attorno ai temi della memoria e dell’oblio. “Dimenticare” è un titolo che Rossi usa spesso per i suoi schizzi, mentre “ricordare” è l’atto implicito al tema del cimitero. 

Il cimitero di Rossi e Braghieri è stato realizzato lentamente. Nella prima versione, poi modificata, dominava una rigorosa simmetria. Nella versione realizzata, anche se non definitiva, il recinto ha un rapporto meno esclusivo con le strutture esistenti, e gli elementi della composizione cercano un rapporto autonomo tanto con la periferia quanto con il paesaggio circostante.

Il grande cubo dell’ossario, è il primo oggetto architettonico che si incontra entrando nella stanza a cielo aperto del Cimitero, e trova un contraltare visivo nella torre conica della fossa comune. Il cubo contiene il sacrario dei caduti nelle guerre mondiali e nella lotta partigiana ed è un volume a cielo aperto, di color mattone, traforato con bucature quadrate secondo la sintassi rossiana. 

L’interno del sacrario denota il carattere al tempo stesso drammatico e rassicurante. Le fratture e le incompletezze degli edifici disegnano, infatti, attraverso le ombre, un paesaggio domestico, dove tutto si carica di significato e diventa simbolo.

Il riferimento al paesaggio delle città dell’Emilia, fatte di portici, piazze e di architetture disegnate dalle ombre, rinforza la ricerca del nesso logico ed emotivo tra città dei vivi e città dei morti.

L’idea della casa è presente in modo indiretto come riflesso o ombra, data la natura del luogo. I suoi elementi scarnificati compongono spazi che riportano a suggestioni e deformazioni. Rossi realizza qui un monumento funebre alterando le dimensioni degli oggetti di uso domestico. Le finestre quadrate e regolari che segnano tutto il complesso sono tagli nel muro senza serramenti, poiché le case dei morti, in architettura, sono al contempo case incompiute e case abbandonate.

Testo Donatella Scatena
Foto di Marco Introini