Officine Olivetti ICO

Luogo: Ivrea, Via Jervis

Autori: Luigi Figini, Gino Pollini, Annibale Fiocchi (III ampliamento); G. Boschetti (IV ampliamento); Enrico Giacopelli (restauro); Dante Oscar Benini (interni)

Cronologia: 1896 (edificio “mattoni rossi”); 1934 | 1936 (I ampliamento); 1937 | 1939 (II ampliamento); 1939 | 1949 (III ampliamento); 1956 | 1957 (IV ampliamento); 2004 | 2009 (restauro)

Itinerario: Un paese industrioso

Uso: Fabbrica e uffici, ora centro polifunzionale

Il complesso delle officine Olivetti ICO (dal nome del fondatore Ingegner Camillo Olivetti) interessa tutto l’asse dell’attuale via Jervis a Ivrea lungo il quale si dipanano, a partire dal volume originario in mattoni rossi, i prismi in cemento armato e vetro progettati dagli architetti Figini e Pollini nel corso di quattro successivi ampliamenti.

Il progetto di ampliamento inizia nel 1934 – prima del secondo conflitto mondiale – e viene affidato ai giovanissimi architetti Luigi Figini e Gino Pollini che lo riprenderanno, per disegnarne i successivi sviluppi, al termine della guerra. Il primo ampliamento è posto sul fianco della fabbrica originaria in mattoni rossi. Il passaggio tra i due edifici è risolto in maniera paradigmatica: il volume arretra nel punto in cui si accosta alla preesistenza, mentre una trave a luce unica in cemento armato scavalca lo spazio posto tra le due facciate, realizzando un collegamento sospeso posto al secondo livello dell’edificio.

La facciata del primo corpo di fabbrica disegnato da Figini e Pollini è caratterizzata dalla presenza di lunghe finestre a nastro. L’interno è costituito da un’ampia officina di lavorazione con struttura portante di cemento armato; la grande aula prende luce dalle aperture continue della facciata che è rivestita, nelle sue parti piene, con piccolissime tesserine di gres ceramico. La fascia di aperture più strette poste alla base della facciata convoglia la luce al piano seminterrato e connota l’attacco a terra dell’edificio.

Pur se realizzato per parti, in un arco di tempo che comprende la frattura del secondo conflitto mondiale, il complesso Olivetti ICO esprime unitarietà di stile e chiarezza esemplare. Esso rappresenta uno dei più acclarati casi di architettura moderna connessa allo sviluppo industriale del paese. Al contempo, esso è anche uno dei pochi esempi di architettura italiana che, negli anni della Ricostruzione, prosegue in apparente continuità i linguaggi del Movimento Moderno, come si trattasse solo di ricollegare i fili di un discorso interrotto.

La lunga facciata su via Jervis, realizzata nel 1942, fu ampliata nel 1949 con l’aggiunta di altre 7 campate. Esposta a nord, essa è costituita da due “pelli” vetrate, la più esterna delle quali scorre davanti alla struttura portante in cemento armato. La sovrapposizione del piano delle vetrate a quello delle strutture determina l’intreccio di due pattern visivi differenti, l’uno dato dal disegno degli infissi e l’altro dal ritmo regolare delle campate. Il lungo fronte vetrato, che si adegua alla giacitura della strada, determina una prospettiva urbana di forte compattezza e di grande impatto visivo.

Nel punto in cui via Jervis cambia leggermente angolazione, i corpi di fabbrica si disarticolano e piegano anch’essi, arretrando per ospitare la massa verde di un albero che segnala l’accesso al complesso.

Dietro la controfacciata è possibile rileggere il passo delle campate dell’edificio; la facciata è regolata dalla struttura, nel senso che è disegnata a partire da un sottomultiplo dell’interasse della campata strutturale. Allo stesso tempo però la facciata è autonoma dalla struttura verticale, in quanto essa è sostenuta dai solai dell’edificio. Questo espediente permette di tenere fisicamente separati i due impaginati, con un effetto di potente astrazione visiva.

La mediazione tra i differenti corpi di fabbrica posti lungo il fronte nord è risolta attraverso arretramenti e disallineamenti delle facciate rispetto al filo stradale.

Il fronte sud presenta una schermatura in cemento con profondi imbotti; per l’altro tratto Annibale Fiocchi aveva disegnato un sistema di tende alla veneziana, sostituite nel 1955 da lamelle metalliche orientabili disegnate da Ottavio Cascio.

Nel 2005 la Vodafone ha commissionato il restauro del complesso ad Enrico Giacopelli (GStudio), mentre a Dante Oscar Benini è stata affidata la sistemazione degli interni; l’intervento, condotto secondo i principi del restauro conservativo, è stato premiato con vari riconoscimenti, tra i quali il premio nazionale INARCH/ANCE e la Medaglia d’oro all’architettura italiana della Triennale di Milano. Dal 1° luglio 2018 la città di Ivrea e il sito delle officine ICO sono stati dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità in virtù dell’eccezionale valore architettonico di questa città industriale del XX secolo, che ha saputo coniugare insieme sviluppo, arte e bellezza.

Testo di Manuela Raitano
Foto di Altrospazio