Palazzo dello Sport di Trento

Luogo: Trento, via Fersina

AutoreRenato Rizzi; Maurizio Piazza (strutture)

Cronologia: 1984 | 2002

Itinerari: Architetture per la collettività

Uso: Impianto sportivo

Il palazzo dello sport progettato da Renato Rizzi, con strutture di Maurizio Piazza, sorge nella periferia meridionale della città di Trento e, con il suo impianto rettangolare, ridefinisce i confini fra spazio urbano e spazio naturale.

Le due fasce esterne, che si sviluppano sul lato maggiore del rettangolo, presentano una doppia frontiera vetrata, mentre il prospetto che si affaccia sul cortile interno è rivestito in pietra di Gré del Lago d’Iseo.

L’impianto ha una capienza di circa 4.000 posti, ma sono previsti lavori per estenderne la capienza a 5.000 posti. Una forra laterale stacca il volume dal perimetro del lotto e convoglia la luce al livello più basso.

Il Palazzo dello sport denuncia il suo rapporto con il paesaggio nel contrasto tra la stereometria rigorosa dei volumi di cui si compone e la massa naturale della montagna, che ne chiude lo sfondo, producendo un effetto di grande forza evocativa.

I lunghi fronti vetrati laterali sono scanditi dall’impaginato regolare dei sottili infissi metallici, che descrivono, grazie all’uso di partizioni in vetro opaco, una raffinata quanto vibrata tessitura in bassorilievo.

La copertura supera una luce unica di circa 30 metri. Sopra le tribune, il piano-trave costituito da un fitto reticolo di travi Vierendeel è lasciato a vista, restituendo la percezione di uno spazio indicibile, dove la terza dimensione si concreta in un’articolazione di vago stampo piranesiano.

L’intero edificio si basa su una volumetria tripartita. All’interno, si sovrappongono tre livelli: uno per gli spettatori, uno per i servizi ed uno per gli atleti. Un doppio involucro vetrato avvolge tutta la struttura; tra le due superfici vetrate è presente un’intercapedine d’aria, che garantisce il controllo di un microclima ideale, rinfrescato d’estate e isolato d’inverno.

Testo Donatella Scatena
Foto di Marco Introini